Roma, 10 gennaio 2013 – Monti su twitter: “@tg1online Dialogo sì, con tutti, anche se avessi la maggioranza. Sostegno a governi non riformisti: NO”. Chi ha potuto seguire i primi cinguettii del premier in campagna elettorale avrà notato la facilità con cui si è subito adeguato alla poco nobile tradizione dei politici nostrani di evitare risposte impegnative. Dialogo e riformismo sono parole che non dicono molto, la seconda meno ancora della prima. Perché ci sono riforme che cambiano la realtà delle cose e riforme che si limitano ad aggiustarla. Infatti da Berlusconi a Vendola tutti si dichiarano riformisti.
Avrete letto anche voi l’Agenda Monti e la “Carta di intenti” del centrosinistra. Secondo Eugenio Scalfari sarebbero quasi uguali. Apparentemente, forse, lo sono, nel senso che gli obbiettivi economici programmati spesso coincidono, ma quello che conta sono le priorità: nel recupero, nella distribuzione e nell’impiego delle risorse. Rigore, crescita ed equità: con queste tre parole il Professore-arbitro ha messo insieme la “strana” maggioranza. Si è visto poi per chi fischiava il rigore.
Destra e sinistra non sono parole vuote. Nell’Italia e nell’Europa di oggi hanno ancora, come insegnava Bobbio, un significato importante. Dunque ogni programma va letto alla luce dei comportamenti e della storia di chi promette di realizzarlo: persone, partiti o movimenti. E tener conto, come ammette lo stesso Scalfari, della “differenza tra i protagonisti, le forze politiche da esse guidate e i ceti sociali di riferimento”. L’uso di una parola vaga come “società civile” non serve a fare chiarezza, specie quando vi si confondono centri di potere finanziari, corporativi o religiosi a cui le carriere dei cosiddetti tecnici fanno spesso riferimento.
Chi ha premuto sulla decisione di Monti di “salire in politica” non avrà scrupoli a pretendere una spaccatura del centrosinistra o addirittura interna al PD in cambio di un accordo obbligato al Senato. A chi mostra ancora di puntare in questa direzione sarà bene rispondere nelle prossime settimane non con minore ma con maggiore chiarezza sull’unità della coalizione e sugli orientamenti che distinguono i progressisti dalla destra e dal centro.
In Europa e nel mondo non c’è un solo modo, quello liberista, di guardare alla globalizzazione, all’orizzonte federale europeo, alla crisi finanziaria o alle difficoltà della crescita. Ad esso i progressisti devono contrapporre una strategia da offrire al confronto democratico, senza ambiguità. Così anche per i nodi tuttora insoluti della politica nazionale, dalla difesa della Costituzione ai diritti civili, dalla riforma della giustizia alla normativa sulla corruzione e sul conflitto di interessi, dalla tutela dei beni comuni al rafforzamento del ruolo della scuola, della televisione e della sanità pubbliche.
Meglio ancora sarebbe se la sinistra cominciasse ad aprire lo sguardo ad una rigenerazione del pensiero politico, non più a rimorchio dell’economia. Come scrive l’antropologo Edgar Morin nel suo ultimo libro (“La via – Per l’avvenire dell’umanità”, Raffaello Cortina editore), “l’economia crede di risolvere i problemi politici e umani con la competizione, la deregolamentazione, la crescita, l’aumento del PIL e, in caso di crisi, con il rigore, cioè con i sacrifici imposti ai popoli. E come la civetta fugge il sole, la classe politica si allontana da qualsiasi pensiero che potrebbe illuminare il cammino del bene comune”.