XIII. Il passaggio dal possesso all’accesso
Gli americani hanno a lungo associato l’idea di libertà all’idea di autonomia e mobilità.
La libertà si misura più in termini di accesso agli altri in un contesto di rete che di possesso in un contesto di mercato. Avere costante accesso agli altri in spazi sociali come Facebook e Twitter dà senso alla vita. In una recente indagine statistica sui giovani tra 18 e 24 anni con patente di guida, il 46% degli intervistati ha dichiarato che tra il possesso di un auto e l’accesso a internet sceglierebbe quest’ultimo. Non meno eloquente il fatto che “nel 2008 tra i giovani di 19 anni o meno ad avere la patente di guida era il 46,3%, contro il 64,4% nel 1998”.
L’auto come metafora
Sono sempre più numerosi giovani che si iscrivono a club di car sharing.
In meno di sette anni le iscrizioni ai servizi di car sharing passeranno da 700.000 a 15 milioni, per un giro d’affari di 2.600.000.000 di euro.
Il car sharing non riduce solo il numero delle auto in circolazione, ma anche le emissioni di CO2. Le persone che optano per questa scelta maturano la tendenza a cambiare i loro schemi di mobilità, sfruttando maggiormente la bicicletta, gli spostamenti a piedi e i trasporti pubblici.
L’80% degli iscritti a club di carsharing già in possesso di un’auto se ne disfa in seguito all’iscrizione e ogni auto in car sharing toglie dalla circolazione 15 auto di proprietà.
Nel 2012 il governatore della California, Jerry Brown, ha firmato una legge che autorizza la circolazione di veicoli senza conducente nelle strade dello Stato. Analoghe disposizioni sono state varate in Nevada e in Florida. Nel siglare la nuova legge il governatore Brown ha dichiarato: “oggi, davanti a nostri occhi, la fantascienza diventa realtà”.
Sergey Brin, cofondatore di Google, pensa a un giorno troppo non troppo lontano in cui milioni di iscritti a servizi di car sharing prenoteranno l’automobile per via elettronica. Dopo aver riportato il passeggero destinazione, la vettura senza conducente sarà automaticamente inviata a prelevare l’utente successivo o a parcheggiare nella più vicina autorimessa per auto in condivisione, dove potrà fare il pieno di energia elettrica e attendere la chiamata successiva.
Il congedo dalla proprietà
Una generazione più giovane tende i suoi muscoli collaborativi per costruire una società a costi marginali quasi zero, E sono ormai ben pochi i settori non ancora coinvolti nel passaggio dal possesso all’accesso e dai mercati al Commons di rete.
All’interno di tale Commons, milioni di persone mettono in comune non solo auto e biciclette, ma anche case, abiti, utensili, giocattoli e competenze.
La via d’uscita non poteva essere che il ribaltamento dell’intero sistema economico: comprare di meno, risparmiare di più e condividere le proprie cose con gli altri. Al consumo incontrollato doveva subentrare un’economia della condivisione.
Internet, con il suo carattere distribuito e collaborativo, permetteva a milioni di persone di trovare i giusti contatti per condividere con gli altri quanto di utile si fosse in grado di offrire.
Il percorso che ha portato al consumo collaborativo è ben illustrato da Rachel Botsman, un ex consulente di General Electric e IBM formatasi a Oxford e Harvard. che ha abbandonato la sua carriera per immergersi nella nuova economia della condivisione.
L’Internet delle comunicazioni offre condizioni di possibilità, e negli anni avvenire, fondendosi con l’Internet dell’energia e l’Internet dei trasporti, darà vita a un’infrastruttura per energia, trasporti e comunicazioni integrata e partecipabile, l’Internet delle cose, che sarà in grado di funzionare a costo marginale quasi zero; ma a quel punto spingerà in modo impressionante il potenziale di tutti gli altri settori in cui è possibile la condivisione, compresi servizi di noleggio, le reti di redistribuzione, gli scambi culturali e lo scambio di competenze tecniche e professionali.
Condividere tutto
Apparso on-line nel 2008, nel giro di tre anni Airbnb poteva già proporre dal suo sito 110.000 camere disponibili, espandendo la sua offerta travolgente di 1000 camere al giorno.
Airbnb chiedi a chi dà e a chi prende in affitto le stanze solo una piccola commissione, per averli messi in contatto.
Couchsurfing, il maggiore concorrente di Airbnb, è di tutt’altra pasta. Nato come organizzazione no profit, tale è rimasto fino al 2011, quando aveva ormai acquisito 5 milioni e mezzo di utenti in 97.000 città di 207 paesi.
Oltre il 99% degli utenti giudicano la propria esperienza con Couchsurfing molto positiva. Stando ai loro resoconti, il giro di amicizie generato dalle visite supererebbe i 19.100.000 contatti. Gli utenti del servizio animano, inoltre, più di 40.000 gruppi tematici.
Grazie ai servizi di giocattoli in condivisione, i bimbi possono imparare che un giocattolo non è una proprietà da tesaurizzare, ma un’esperienza di cui godere per qualche tempo, e in tal modo cambiare il modo stesso di concepire gli oggetti che usano.
L’idea di ottimizzare il ciclo di vita degli oggetti, così da contenere la necessità di produrre beni destinati a un uso solo parziale, è quasi istintiva per ragazzi che vedono nella sostenibilità la nuova forma della frugalità.
Un’altra popolare iniziativa per la redistribuzione è Thredup, forte di 400.000 membri. Si tratta di un negozio on-line che vende capi di vestiario usati.
Il sistema capitalistico, tuttora dominante, ritiene di poter estrarre valore dall’economia collaborativa sfruttando alcuni aspetti della cultura della condivisione per trarne nuove fonti di profitto, ma il guadagno che riuscirà a trarre dallo sviluppo del Commons di rete sarà comunque ben poca cosa in confronto al terreno che dovrà cedere.
Il dilemma dei commercianti mi si è delineato in tutta la sua portata quando ho sentito parlare del nuovo sito di condivisione Yerdle, comparso in rete nel 2012…. L’idea di un’economia circolare, in cui tutto viene riciclato e riutilizzato e nulla finisce nella spazzatura prima del tempo… Werbach sostiene, per esempio, che “si può anche prendere in prestito una motosega dal vicino di casa, ma un rivenditore non si limita a venderti una motosega: ti aiuto anche a scegliere secondo le tue esigenze”.
La questione centrale è capire al servizio di quale prospettiva un soggetto sta operando: nel Commons a costo marginale quasi zero si scorge essenzialmente una nuova opportunità commerciale per il mercato, come ritengono Chris Anderson e altri, o invece un fine in sé, un nuovo paradigma economico, con applicazioni che talvolta potrebbero avere esternalità positive per il mercato?
La possibilità di estrarre valore dell’intero ciclo vitale di un bene incoraggerebbe i rivenditori a migliorare la qualità dei prodotti venduti e la loro tenuta nel tempo.
Ripeto: il mercato capitalistico riuscirà anche a estrarre valore dai Commons, ma continuerà a ritirarsi in spazi di nicchia sempre più limitati, a mano mano che l’economia sociale andrà eclissando quella di mercato.
Gruppi di acquisto solidale (GAS) hanno conosciuto un rapido sviluppo negli Stati Uniti e in altri paesi con l’affermarsi di Internet, negli anni 90.
La condivisione del rischio crea tra consumatori e coltivatori un vincolo di mutua fiducia generando capitale sociale. Grazie, poi, all’eliminazione di tutti gli intermediari del tradizionale comparto agricolo a integrazione verticale, il costo dei prodotti risulta, per il consumatore finale, molto ridotto.
In un certo senso il consumatore diventa un prosumer, dal momento che finanzia i mezzi di produzione con cui viene ottenuto il bene finale che egli stesso consumerà. Le imprese dei GAS sparse per il mondo sono migliaia e il loro numero è in aumento: per la giovane generazione, infatti, l’idea di sfruttare a fondo le possibilità commerciali offerte da un’economia sociale basata sui Commons sta diventando sempre più appassionante.
Un’assistenza sanitaria orientata dal paziente
Negli Stati Uniti, dove i costi della sanità incidono per il 17,9% del Pil, i pazienti si stanno organizzando in giganteschi Commons sanitari… Si è sviluppata spontaneamente, quando sempre più persone hanno iniziato a cercare in Internet delucidazioni sui propri sintomi per avere un quadro esatto delle proprie condizioni di salute.. Un sito web offre ai pazienti la possibilità di illustrare i loro problemi con la malattia. I dati così raccolti vengono poi aggregati e analizzati, per aiutare i ricercatori a tracciare nuovi percorsi di ricerca.
Questi pazienti online, gli e-patiens, stanno dando vita a quello che Frydman chiama un “modello di medicina partecipativa”, dove in un unico Cormons convengono vari soggetti: pazienti, ricercatori, medici, finanziatori, produttori di apparecchiature mediche, terapeuti, case farmaceutiche e professionisti sanitari, tutti impegnati a collaborare per migliorare l’assistenza al paziente
Questa nuova realtà saprà dotarsi di un adeguato sistema di verifica,un po’ come ha fatto Wikipedia introducendo meccanismi di controllo, revisione e conferma delle sue voci: oggi Wikipedia conta 19 milioni di collaboratori…. È l’ottavo sito più visitato al mondo, e la sua enciclopedia del sapere universale vanta milioni di contatti.
Ognuno è un medico
Oggi Internet conta centinaia di Commons sanitari open source.
Anche Twitter potrebbe rivelarsi un valido strumento di monitoraggio.
Sfruttando big data per seguire lo sviluppo di epidemie globali e combattere il contagio si potranno risparmiare miliardi di dollari in spese sanitarie, a fronte di un sistema di monitoraggio e rilevamento che avrà costi marginali sempre più prossimi allo zero.
Credo che intorno alla metà del nostro secolo, non prima, ogni persona avrà la possibilità di accedere al motore di ricerca di un Commons sanitario globale, registrarvi la propria configurazione genetica, individuarvi un gruppo di soggetti con genomi simili al suo, ricevere un dettagliato resoconto sui disturbi che potrebbero minacciare la sua salute nell’arco della vita e avere informazioni personalizzate sui trattamenti sanitari più efficaci per curarsi e mantenersi in salute; tutto questo a costo marginale quasi zero.
In Australia stanno sperimentando l’uso di processi a stampa 3D per produrre cellule vive del tessuto muscolare e di quello nervoso.
Si prevede che nei prossimi 10 anni la biostampa 3D di tessuti organici – tessuti cardiaci nervosi,segmenti di vasi sanguigni, cartilagini per giunture deteriorate, eccetera – diventerà di uso comune. Perché si arrivi a biostampare organi interi bisognerà invece attendere un po’ di più… Con ogni probabilità di qui a pochi decenni la nuova frontiera della biostampa 3D di parti sostitutive per il corpo umano sarà conquistata.
Il tramonto della pubblicità
Fino all’inizio del 20º secolo il concetto di “consumo” aveva una connotazione negativa.
L’industria della pubblicità mutò l’orientamento della psiche collettiva, liquidando un’antica tradizione di frugalità per sostituirla con un orizzonte in cui la prodigalità veniva esaltata sulla parsimonia.
Nel 2012 l’industria pubblicitaria americana ha avuto ricavi per 153 miliardi di dollari. Nello stesso anno a livello globale gli utili complessivi hanno toccato i 479.900.000.000 di dollari. Ma se apparentemente il settore sembra in ottima salute, i suoi operatori nutrono serie preoccupazioni. Vedono infatti trasformarsi milioni di individui da consumatori passivi a prosumers capaci di produrre da sé, in reti paritarie, notizie, sapere, intrattenimento ed energia ( e presto anche oggetti 3D)…. La giovane generazione si sta silenziosamente emancipando dal tradizionale mercato capitalistico… A determinare le decisioni economiche sono assai meno le campagne pubblicitarie delle aziende che le raccomandazioni, le recensioni, il gradimento e il passa parola tra “amici”, e tra gruppi via Facebook, Twitter, YouTube altre centinaia di siti Web di social media.
GoodGuide è un’applicazione per cellulare che permette al consumatore di rilevare il codice a barre e collegarsi a una serie di recensioni da cui emerge come gli altri valutano il prodotto sotto il profilo della sicurezza, della salute, della qualità etica e della sostenibilità generale.
Uno studio realizzato nel 2012 da IBM Global business services con il provocatorio titolo di The End of Advertising as We Know It (La fine della pubblicità come la conosciamo) riconosce che il Commons sociale di Internet “mette a rischio la base di profitto dei tradizionali distributori e aggregatori di contenuti”.
Quale valore aggiunto può offrire l’industria pubblicitaria? Gli inserzionisti potrebbero risolversi a finanziare la distribuzione di contenuti on-line, ma la manovra, con ogni probabilità, non avrebbe successo, perché ciò che attira milioni di persone vere su Internet è la natura partecipativa del mezzo: un Commons in larga parte operante nel contesto di un’economia sociale dominata dall’impegno interattivo paritario… In un medium paritario, la pubblicità istituzionale risulta talmente fuori posto da venire considerata più un’intrusa che un semplice fastidio o una semplice distrazione.
Il tasso di crescita dell’investimento pubblicitario in Internet infatti passato dal 23% del 2010-2011 al 14% del 2011-2012.
Con la rapida migrazione degli utenti di Internet verso i dispositivi mobili, il ritmo di crescita dei ricavi da pubblicità continuerà probabilmente a calare, anche se la pubblicità non scomparirà del tutto.
La prospettiva di condividere beni, servizi ed esperienze in spazi compartecipabili piace al 62% dei nati tra gli anni 60 e l’inizio del nuovo millennio…. Alla richiesta di elencare i “vantaggi razionali” di un’economia della condivisione, gli intervistati hanno citato in primo luogo il risparmio di denaro, seguito dall’ impatto ambientale, la flessibilità nello stile di vita, la praticità dello sharing, e la facilità dell’accesso a beni e servizi.
Il Commons collaborativo ha il potenziale per smantellare gran parte del mercato capitalistico convenzionale assai prima di quanto immaginato da molti economisti. Questo tipo di effetto soglia ha già colpito duramente l’industria musicale, il settore della stampa periodica e l’editoria commerciale convenzionale…. Anche gli eBook più economici si trovano a vedersela con la sempre più agguerrita concorrenza di pubblicazioni copyleft distribuite gratuitamente o quasi.
In conclusione possiamo affermare che i mercati capitalistici convenzionali andranno gradualmente perdendo la loro posizione dominante nello scambio commerciale planetario e che negli anni avvenire il progressivo azzeramento dei costi marginali spingerà una porzione sempre più rilevante dell’attività economica verso il Commons collaborativo.
XIV. Crowdfunding, capitale sociale, democratizzazione della moneta, umanizzazione dell’imprenditoria e ridefinizione del lavoro
Chi ha un progetto lo espone in un sito internet indicando un termine entro il quale i fondi necessari per finanziarlo devono essere raccolti. Se alla scadenza l’obiettivo non è stato raggiunto, I fondi non vengono prelevati.
Le iniziative di finanziamento via crowdsourcing stanno contribuendo in modo significativo al sorgere di molte delle nuove start-up che alimentano lo sviluppo dell’infrastruttura IDC.
Gli entusiasti del crowdfunding sottolineano come il cuore del fenomeno non sia il denaro, ma l’intimo piacere di aiutare attivamente altre persone a realizzare i propri sogni e di sapere che il proprio piccolo contributo ha un grande valore.
Come in altri ambiti dell’economia collaborativa, anche in questo caso le persone scavalcano gli intermediari, I costi fissi generali dei grandi istituti finanziari, i ricarichi e gli elevati tassi di interesse pretesi dalle società che rilasciano carte di credito, e si scambiano il proprio tempo di lavoro direttamente.
Nel mondo le valute alternative in circolazione sono ormai più di 4000…. In Grecia e Spagna, le reti di valute complementari si stanno moltiplicando… Se le valute sociali legate alla dimensione locale sono in via di espansione, in Internet stanno prendendo piede anche valute alternative globali, capaci di trascendere i confini degli Stati. Ormai circolano 1 milione di “bitcoin”, in una rete paritaria di moneta elettronica.
Le ore vengono “depositate” in una banca del tempo, proprio come se si trattasse di denaro, e diventano oggetto di scambio con altre ore per beni e servizi.
L’imprenditoria sociale
Soggetti impegnati nell’imprenditoria sociale a fini di lucro guardano essenzialmente alle opportunità commerciali, mentre gli altri si concentrano soprattutto sul modo di soddisfare i bisogni sociali.
Il successo degli imprenditori sociali è misurato più dal miglioramento del benessere nelle comunità per cui operano che dal ritorno sull’investimento.
Nei prossimi decenni, quando l’economia sociale basata sul Commons collaborativo guadagnerà terreno sul capitalismo di mercato, l’imprenditoria sociale, oggi equamente suddivisa in imprese con scopo di lucro e organizzazioni no-profit, tenderà con ogni probabilità a orientarsi sempre più verso quest’ultima forma.
Nuovi tipi d’impiego
Grazie all’informatica, ai big data, ai sistemi d’analisi avanzati, all’intelligenza artificiale e alla robotica – che stanno gradualmente sostituendo milioni di lavoratori nel settore manifatturiero come in quello dei servizi, nel settore del sapere come in quello dell’intrattenimento,- il mercato capitalistico si avvia a sperimentare costi marginali del lavoro prossimi allo zero.
La trasformazione del regime energetico mondiale da un quadro basato sui combustibili fossili e sull’energia nucleare a uno scenario dominato dalle energie rinnovabili richiederà un consistente apporto di lavoro, con l’impegno di milioni di addetti e la creazione di migliaia di nuove imprese. Rimodernare e convertire in micro centrali elettriche verdi centinaia di milioni di fabbricati già esistenti e costruirne altri milioni da zero richiederà decine di milioni di lavoratori e aprirà nuove opportunità imprenditoriali alle energy saving companies (ESCO), alle piccole imprese di edilizia green e ai produttori di apparecchiature ecologiche. La necessità di installare nell’intera infrastruttura economica impianti a idrogeno e altri sistemi di accumulo capaci di gestire il flusso dell’elettricità verde avrà anch’essa massicce ricadute occupazionali, con la nascita di altrettante nuove imprese. La trasformazione del sistema elettrico mondiale in un internet dell’energia genererà milioni di posti di lavoro nel campo delle installazioni e darà vita a migliaia di start-up per applicazioni cleanweb. E per finire, riconfigurare il settore dei trasporti passando dai motori a combustione interna ai veicoli alimentati da motore elettrico o da pile a combustibile imporrà la riorganizzazione dei sistemi viari nazionali e delle infrastrutture per il rifornimento. Installare lungo le strade e in ogni parcheggio milioni di punti di rifornimento per i veicoli elettrici è un’operazione che richiede molta manodopera, con i relativi risvolti occupazionali.
Nei Paesi Bassi le organizzazioni no-profit coprono il 15,9% del lavoro pagato. In Belgio il 13,1% della forza lavoro riguarda il settore no-profit.In Inghilterra è occupata nel no-profit l’11% della forza lavoro, in Irlanda il 10,9; negli Stati Uniti il 9,2%, in Canada il 12,3. E verosimilmente nei prossimi decenni, con il passaggio da un’economia di mercato fortemente automatizzata a un’economia sociale a elevatissimo impiego di addetti, queste percentuali cresceranno costantemente.
Io prevedo che intorno alla metà del secolo attuale, se non prima, a livello mondiale la maggioranza degli occupati opererà nel settore no-profit del Commons collaborativo.
Il compito che ci attende è quello di riqualificare la forza lavoro esistente e assicurare la giusta formazione agli studenti che dovranno poi entrare nel mercato del lavoro.
Tutto questo richiederà uno sforzo titanico, ma in passato l’umanità ha già dimostrato di saper superare simili prove; per esempio nel veloce passaggio dalla cultura rurale a quella industriale verificatosi tra il 1890 e il 1940.
Sono ben pochi coloro secondo i quali la corsa incalzante verso l’azzeramento dei costi marginali che sta interessando i settori dei media, dell’intrattenimento e dell’editoria, l’energia da fonti rinnovabili, la stampa 3D di manufatti e l’istruzione superiore open source via internet non sono che mere varianti agevolmente inquadrabili nel paradigma economico esistente.
Un nuovo ordine economico, nella sua essenza tanto diverso dal capitalismo di mercato quanto quest’ultimo è stato dai sistemi feudali medievali dei quali è emerso.