PIETRO Ognuno di noi e’ tutto cio’ che e’ e tutto cio’ che e’ stato, dove tutto significa le determinanti biologiche, familiari (miti, abitudini, storia familiare transgenerazionale, ecc. ), sociali, storiche, culturali, ma anche le relazioni intrapese con le altre persone e il mondo, relazioni a loro volta determinate dalle determinanti delle persone coinvolte nella relazione stessa, dalla societa’, dalla cultura, dal momento storico… insomma un casino di determinanti, ma cio’ che conta e’, come dice Pino, che ognuno di noi e’ tutti questi processi, tutte queste parti, anche in contraddizione tra loro.
FERNANDO Pare anche a me.
PIETRO Tuttavia, il fatto che ogni uomo sia determinato dalla sua storia, non significa che sia PRE-determinato dalla sua storia. Nel senso che tutte quelle determinanti pongono dei vincoli alle sue possibilita’ (piu’ o meno consapevoli) di scegliere. Ma i vincoli, oltre a stabilire cio’ che non puo’ essere, determinano anche cio che’ puo’ essere, e cio’ che puo’ essere, in un mondo complesso come il nostro, non sara’ mai un solo comportamento. Tra i vincoli, cioe’, si aprono degli spazi di possibilita’, all’interno dei quali noi possiamo scegliere come agire. E la scelta, inevitabilmente, porra’ nuovi vincoli e aprira’ nuove possibilita’, e cosi’ via.
FERNANDO Perche’ io possa capire meglio quello che intendi, vorrei farti qualche domanda (chiedendo scusa per la grossolanità del linguaggio): Sei d’accordo che prima di adottare un comportamento o di compiere qualsiasi azione avvengono nella mente uno o piu’ conflitti – che solo in parte emergono alla coscienza – tra pulsioni diverse? PIETRO Non mi piace il termine “pulsioni”, ma se intendiamo quelle “cose” che avvengono nella mente (“cose” da definire in un secondo tempo), sì, sono d’accordo.
FERNANDO Pensi anche tu che queste pulsioni derivino, e traggano la loro forza dalla memoria del piacere o del disagio, del successo o dell’insuccesso ottenuti in esperienze identiche o analoghe o comunque richiamate per associazione di idee con l’azione da compiere?
PIETRO Queste “cose” si sono costituite o, meglio, costruite durante la vita di una persona, sono esse stesse la memoria di quanto quella persona ha vissuto.
FERNANDO …e in parte anche di quanto ha ereditato col patrimonio genetico…
PIETRO Si, anche se penso che attualmente l’influenza dei fattori genetici sia sopravvalutata. Non passa giorno che non si scopra il gene di qualcosa: dell’obesita’, dell’intelligenza, tra poco anche della squadra del cuore. Comunque, sono d’accordo sul fatto che successi e insuccessi, piaceri e dispiaceri contano, in misura differente per ciascuno, sia nella costruzione della memoria, sia nella costruzione delle aspettative che una persona fa per anticipare le conseguenze delle sue azioni e quindi scegliere come agire.
FERNANDO Infatti. E lo spiega molto bene Antonio Damasio con la sua “ipotesi del marcatore somatico” (“L’errore di Cartesio”, ed.Adelphi). Ora dimmi: queste pulsioni e i conflitti tra esse – complessi e complicati quanto vuoi – coprono anche gli “spazi di possibilita’” di cui parli, all’interno dei quali avviene la scelta o no? Sono parte integrante dell’esercizio della volonta’ o no?
PIETRO Io credo che queste “cose” e i conflitti fra queste “cose” determinano i vincoli e le possibilita’. In questo senso, si, sono parte integrante dell’esercizio della volonta’.
FERNANDO E ora dimmi: da che cosa dipende l’esito di questi conflitti e quindi in definitiva la scelta? Sempre dalla memoria e dalle conseguenti aspettative di piacere o di disagio ( o di piacere con disagio, o di disagio con promessa di piacere) oppure da qualcos’altro? e da che cosa?
PIETRO Come in una mano di poker, abbiamo delle carte e dobbiamo giocarle, e cio’ che succedera’ dipendera’ non solo dalle nostre carte, ma anche dal gioco degli altri giocatori, dalla disposizione delle carte nel mazzo, da altre contingenze e dalle nostre scelte.
FERNANDO Gia’, ma come avviene la scelta della carta da giocare? Secondo me puo’ avvenire per caso oppure sulla base di una valutazione che corrisponde all’esito dei conflitti di cui sopra e nasce dalla memoria di precedenti esperienze (analoghe o associate). E secondo te?
PIETRO Sulla base di tutte le valutazioni che una persona fa e per “caso”. Insieme. Nel senso che e’ impossibile non fare valutazioni ed e’ impossibile fare valutazioni esaustive. Prima di scegliere, non sappiamo che cosa, come e perche’ scegliere una delle alternative possibili. Alla fine una scelta deve essere fatta e viene fatta. E dopo che e’ stata fatta la scelta possiamo discutere del come e’ stata fatta, del perche’, di quali conseguenze ha avuto, della discrepanza tra queste e quelle attese e di tutto quello che vogliamo; ma dopo, a posteriori. Se riavvolgiamo il film della vita di Tizio e lo facciamo ripartire non e’ detto che Tizio scelga di nuovo A, questa volta potrebbe scegliere B o C o Z; e potrebbe addurre gli stessi o opposti motivi per spiegare la propria scelta, ma dopo. Prima della scelta, c’e’ Tizio che ha delle alternative e delle idee su quelle alternative, c’e’ Tizio con le sue esperienze passate e i suoi ricordi su come ha vissuto quelle esperienze, c’e’ Tizio con la sua personalita’ e il suo umore del momento, con la sua digestione pesante e la lite col capoufficio per quel banale disguido. Poi Tizio sceglie. Ma quanto ha influito la lite col capoufficio? E quanto il fatto che per una volta Tizio ha mangiato leggero e non ha avuto i soliti disturbi alla digestione? Se Tizio ha scelto A (l’alternativa piu’ “brutta”) possiamo dire che ha scelto cosi’ perche’ la lite l’aveva messo di cattivo umore; viceversa se sceglie B (l’alternativa “migliore”) diremo che era di buon umore per la digestione tranquilla. Ma – ripeto – lo possiamo dire (noi) dopo che Tizio ha scelto. Prima, pur avendo la misura esatta (se fosse possibile) di tutte le valutazioni di Tizio, della sua personalita’, del suo umore…prima non avremmo potuto prevedere alcunche’. Il punto e’, secondo me, che la nozione di causalita’ (in questo caso, Tizio sceglie A perche’ e’ dell’umore X) e’ una nostra invenzione, un nostro modo di dare senso alle cose (Wittgenstein diceva che la causalita’ e’ una superstizione), e’ una di “quelle” cose di cui parlavo prima, che avviene nella nostra mente e determina il nostro modo di pensare e di agire; ma queste “cose” non sono state messe nella nostra testa da qualcuno, queste “cose” le abbiamo costruite noi e le ricostruiamo ogni volta e, soprattutto se sappiamo di poterlo fare, possiamo cambiare il modo di costruirle e ricostruirle.
FERNANDO Ho l’impressione – ma ti prego di correggermi se sbaglio – che tu creda alla possibilita’ di spiegare tutto in termini razionali, come se quanto avviene nella nostra mente fosse sempre registrato dalla coscienza, cosa che avviene invece solo in minima parte.
PIETRO Oddio, spiegare tutto in termini razionali no, pero’ penso che tutto possa essere quantomeno descritto – trovando il punto di vista ed il linguaggio adatto – e compreso, o che si possa provare…
FERNANDO Ma il piatto che si offre alla nostra coscienza e’ un piatto gia’ cucinato. E’ un po’ come pretendere al ristorante di riconoscere ingredienti, dosaggi e tempi di cottura solo gustando la raffinatissima creazione di un cuoco della “nouvelle cuisine.
PIETRO Lasciamo perdere le metafore. In ogni situazione abbiamo sempre vincoli e possibilita’: sta a noi sapere riconoscere gli uni e le altre, sta noi cercare di acquisire la consapevolezza che siamo noi a scegliere. Sta a noi, infine, scegliere. E sta a noi assumerci la responsabilita’ delle nostre scelte. Etica e libero arbitrio vanno a braccetto, non credi?
FERNANDO Se intendi riferirti alle possibilita’ oggettive, che possono essere ampliate o ridotte ( e in questo consiste propriamente la liberta’), sono d’accordo. Ma dato quel ventaglio di possibilita’ oggettive, la scelta soggettiva del singolo individuo si indirizzera’ verso una e una soltanto di quelle possibilita’. Dire che sta a noi scegliere e’ giusto ma non dice niente a proposito del libero arbitrio se non si spiega anche “come” avviene la scelta. Anche dire che dobbiamo assumerci la responsabilita’ delle nostre scelte e’ giusto, perche’ la responsabilita’ e’ una fondamentale esigenza sociale e come tutta l’etica ha un ruolo importante nel gioco delle pulsioni. Se per far funzionare meglio etica e senso di responsabilita’ dobbiamo dire e dirci che il libero arbitrio esiste, diciamolo pure (ma non e’ vero).
PIETRO Penso possa essere utile distinguere due diversi tipi di situazioni, o meglio due diversi tipi di questioni, di domande di fronte alle quali una persona puo’ trovarsi a dover scegliere come agire. Esistono infatti domande decidibili e domande indecidibili. La domanda “Quanto fa 2+2?” appartiene certamente alla prima categoria. Queste domande sono poste all’interno di una cornice di lavoro ben definita, applicando le cui regole si e’ sicuri di arrivare alla risposta corretta, seppure, a volte, dopo un certo tempo. Altre domande sono invece per principio indecidibili, per esempio “Qual’e’ l’origine dell’universo?”, oppure “Chi siamo? Da dove veniamo? Come faremo a pagare il muto della casa?” Il punto e’ che le questioni decidibili sono in realta’ gia’ decise dalla cornice di lavoro e dalle regole; le questioni indecidibili no. Come dice Heinz Von Foerster, le uniche questioni che possiamo realmente decidere sono quelle per principio indecidibili. A questo punto viene la domanda sul libero arbitrio: ma quanto siamo liberi di decidere le questioni indecidibili? Per rispondere a questa domanda penso che possa essere utile cercare di capire come funziona la mente umana.
FERNANDO Questa si’ che e’ musica per le mie orecchie 🙂
PIETRO La psicologia e le scienze cognitive piu’ recenti, abbandonata la metafora del computer, sostengono che la mente costruisce il mondo (o la conoscenza del mondo) nel quale vive e nello stesso momento costruisce se stessa costruendo gli schemi con i quali costruisce il mondo. Quindi: una persona utilizza i suoi schemi per costruire le sue aspettative in una data situazione e quindi per decidere come comportarsi…..
FERNANDO Se intendi che utilizza i suoi schemi coscientemente, non sono d’accordo.
PIETRO No, no. E il problema e’ proprio questo, nella nostra cultura non abbiamo la minima idea di come funziona la nostra mente, anzi spesso abbiamo idee totalmente sbagliate.
FERNANDO Ma se “nella nostra cultura non abbiamo la minima idea di come funziona la nostra mente”, come puoi credere anche che ” tutto possa essere quantomeno descritto e compreso ” come hai detto piu’ sopra? Dovresti dire, quanto meno, che tutto puo’ essere compreso tranne il modo in cui funziona la nostra mente, e ti pare eccezione da poco? Io credo, al contrario, che da Freud alle piu’ recenti scoperte dei neuroscienziati, qualche idea su come funziona la nostra mente sia stata trovata e che si possa tenerne conto almeno quel tanto che basta per sapere che non tutto puo’ essere descritto, compreso o provato. Ecco un primo punto, decisivo, del nostro dissenso.
PIETRO Detta cosi’ sembra una grande contraddizione. Ma probabilmente mi sono espresso male ed e’ nato un equivoco. Io dico: 1) la conoscenza e’ conoscibile. Da Freud ai neuroscienziati, come dici tu, si e’ fatto davvero molto. 2) la maggior parte delle teorie sulla mente e sull’uomo, quelle entrate a far parte del senso comune, ultimamente si sono rivelate inadeguate; mi riferisco principalmente a quelle teorie che si rifanno alla metafora mente-computer, ma anche a quelle riduzioniste per cui tutto dipende dai neurostrasmettitori o addirittura dai geni. Qui dovremmo metterci d’accordo. Io sostengo che non si possa arrivare ad una conoscenza completa, assoluta, vera del funzionamento della mente. Perche’ e’ epistemologicamente impossibile: nel momento in cui affermo che la mente produce il mondo e la conoscenza, affermo anche che non esiste un mondo esterno o una conoscenza che, progressivamente, in maniera cumulativa possa essere scoperta fino ad arrivare alla conoscenza totale, al punto di vista di Dio. Soprattutto per quanto riguarda fenomeni come la mente, la coscienza, la vita, l’origine dell’universo, fenomeni ai quali stiamo dentro. Ma questo non significa che la mente sia una black box, una scatola nera all’interno della quale non sia possibile entrare, anzi. Spiegami cosa intendi quando dici che non tutto puo’ essere spiegato. Vuoi dire che e’ impossibile una conoscenza esaustiva del funzionamento della mente? Su questo siamo d’accordo.
FERNANDO E’ impossibile soprattutto una conoscenza esaustiva del funzionamento della propria mente.
PIETRO Dicevo dunque che una persona utilizza i suoi schemi per costruire le sue aspettative in una data situazione e quindi per decidere come comportarsi, ma non potra’ mai riuscire ad avere una descrizione esaustiva della situazione, di tutti i suoi possibili comportamenti, di tutte le conseguenze di ognuno di questi comportamenti, delle intenzioni di tutte le altre persone che si trovano in quella stessa situazione, eccetera eccetera (e’ quello che fa Deep Blue, il computer scacchista); ci sara’ quindi un margine di indecidibilita’ che verra’ deciso dalle contingenze del momento, dal caso, ma soprattutto dall’individuo.
FERNANDO Ma non e’ affatto questa la questione piu’ importante. Non e’ sull’ignoranza, ovvia e inevitabile, delle circostanze che giudico della consistenza del libero arbitrio.
PIETRO Già. A questo punto Fernando dice: ma sulla base di che cosa decide l’individuo? (giusto?). Ovviamente di altri suoi schemi, dei quali puo’ avere maggiore o minore o nessuna consapevolezza.
FERNANDO Ora ci siamo.
PIETRO Io però voglio notare due cose: la prima è che qualsiasi essa sia, l’azione scelta produce comunque qualcosa di nuovo, qualcosa che non era presente prima e che non e’ riducibile al prima o spiegabile tramite esso…..
FERNANDO Forse. Le idee nuove sono in realta’ nuove associazioni di vecchie idee…e considerato il modo di pensare conformistico e abitudinario della maggior parte degli esseri umani, direi che anche le nuove associazioni di idee sono proprio una rarita’…..ma andiamo avanti….
PIETRO Questa tua ultima affermazione e’ un po’ pessimistica, ma, ahime’, non posso non essere d’accordo con te. Comunque questo qualcosa di nuovo che non era presente prima e che non e’ riducibile al prima o spiegabile tramite esso, questa irriducibilita’ mi sembra allo stesso tempo la condizione necessaria del libero arbitrio e la possibilita’ del libero arbitrio.
FERNANDO Dunque, vediamo se ho capito: intendi dire che si ha possibilita’ di libero arbitrio ogni volta che l’azione scelta produce qualcosa di nuovo?
PIETRO Non automaticamente. Intendo solo dire che una data situazione non “contiene” i suoi sviluppi, come invece accade nelle questioni decidibili di cui parlavamo prima, per cui l’espressione 2+2=? e le regole della matematica implicano necessariamente la risposta 4. Voglio richiamare, qui, un esperimento di F. Varela nel quale un semplicissimo sistema circolare in accoppiamento con un brodo di 0 e 1 riusciva a produrre un significato nuovo (nel caso specifico il sistema discriminava tra sottosequenze pari e dispari di collisioni tra il sistema stesso e gli 1). E’ un esperimento che penso possa essere un ottimo esempio per spiegare quanto ho cercato di dire su questo punto.
FERNANDO Insomma, io misuro il libero arbitrio considerando la produzione, tu invece considerando il prodotto. E’ cosi’?
PIETRO No, anch’io do importanza alla produzione, anzi, l’esempio del sistema di Varela mi serviva per dimostrare come poteva prodursi un qualcosa di nuovo che non esisteva ne’ nel sistema e ne’ nel brodo casuale di 0 e 1, e tale prodotto veniva costruito dal processo di accoppiamento (produzione) tra il sistema e l’ambiente.
FERNANDO Ma certo che l’interazione tra il sistema nervoso e l’ambiente puo’ produrre qualcosa di nuovo. Sarebbe questo per te il libero arbitrio?
PIETRO No, ma mi sembra una condizione essenziale. Io non sono libero di scegliere quanto fa 2+2. Un computer programmato per eseguire un certo compito non e’ libero di eseguirlo come e se vuole. In questi casi delle regole e delle istruzioni esterne determinano il comportamento dello studente di matematica e del computer. C’e’ necessita’ e non possibilita’. Dicevo dunque che la prima notazione è che l’azione scelta produce qualcosa di nuovo. La seconda notazione è che il processo di costruzione di questo qualcosa di nuovo e’ conoscibile……
FERNANDO Da chi? Quando? Come? Perche’?
PIETRO Intendo dire che e’ possibile conoscere la conoscenza, che cioe’ noi possiamo conoscere come conosciamo il mondo e quindi come agiamo nel mondo.
FERNANDO Vuoi dire che ciascuno di noi è in grado di conoscere come conosce il mondo e quindi come agisce nel mondo? Magari!!!!
PIETRO Perche’ non potremmo? Guarda che lo facciamo molto piu’ spesso di quanto tu pensi !
FERNANDO Ma non avevi detto prima che non si ha idea di come funziona la mente?
PIETRO E’ possibile conoscere la conoscenza a diversi livelli: ad esempio, non hai mai fatto il giochino per vedere il punto cieco dell’occhio? Cioe’ per vedere di non vedere? E se e’ possibile vedere di non vedere, cioe’ vedere la vista, perche’ non deve essere possibile conoscere la conoscenza? Pensa all’epistemologia di qualsiasi disciplina: non e’ conoscenza di come si forma la conoscenza in quella disciplina? Nella psicoterapia la possibilita’ di conoscere la propria conoscenza, cioe’ il modo in cui si da senso alle cose e’ il presupposto indispensabile per la cura. Capire ad esempio che la propria anoressia (scusa l’enorme semplificazione) e’ un rifiuto della madre (colei che da’ il cibo) dovuto al fatto che la ragazza si e’ schierata col padre nella “guerra” tra questo e la moglie, capire che la propria patologia e’ dovuta al gioco di relazioni tra tutti i componenti familiari, conoscere quelle relazioni e decidere di provare a cambiarle… Non credi che in tutti questi casi questa conoscenza ci dia margini di scelta, di cambiamento possibile che prima non avevamo? Io per libero arbitrio intendo questa possibilita’, anche piccola piccola.
FERNANDO Mi pare che anche tu confonda il libero arbitrio con l’ampliamento delle possibilita’. Che la conoscenza ci dia margini di cambiamento possibile e’ un conto, che ci dia anche margini di scelta e’ tutt’altra cosa.
PIETRO Allora… possibilita’ e scelta….vediamo… faccio un esempio, spero che mi riesca bene: per tanto tempo abbiamo avuto una visione deterministica dell’evoluzione, nel senso che abbiamo pensato che vi fossero delle regole – incremento della varieta’ e della complessita’ (della superiorita’) degli organismi, sopravvivenza del piu’ forte e del piu’ adatto – che la guidassero facendola giungere fino all’uomo, considerato una specie di compimento dell’evoluzione (siamo sempre stati un tantino antropocentrici, nevvero?). Oggi, invece molti ricercatori, vedi Gould ed Eldredge, propongono una visione diversa, che mette in luce gli aspetti causali, il ruolo delle contingenze, e parla di una evoluzione bricoleur. Per esempio, il “successo” evolutivo dell’uomo e’ dovuto al fatto che ad uno dei frequenti cataclismi che hanno decimato gli organismi un pesciolino insignificante di nome Pikaia si e’ salvato, mentre anche i suoi diretti concorrenti e molte altre specie no. Il punto e’ che prima di quel cataclisma (esterno) la sopravvivenza di Pikaia e dei suoi discendenti era imprevedibile, soltanto una serie di contingenze e di fortuita’ hanno fatto si’ che cio’ succedesse. Lo stesso capito’ ai mammiferi quando si estinsero i dinosauri, ecc. Se riavvolgessimo il film della vita e lo facessimo andare avanti, i risultati sarebbero ogni volta diversi. Non c’e’ quindi necessita’, ma possibilita’, nel senso di cui parlavo sopra. Ovviamente, nell’evoluzione non c’e’ libero arbitrio. La realizzazione di quale delle possibilite’ e’ assegnata al caso ed alle contingenze della situazione. Nella vita dell’uomo le cose funzionano pressapoco cosi’, nel senso che non sono determinate a priori. In piu’ io credo che sia anche possibile scegliere (libero arbitrio). Tu dici che possibilita’ non significa automaticamente scelta. Sono d’accordo. Io infatti dico che scegliere diventa possibile non quando ci sono le possibilita’, ma quando si conoscono le possibilita’, quando si sa di avere piu’ possibilita’. E’ un secondo ordine, che nell’evoluzione non e’ possibile, ma nell’uomo si.
FERNANDO Ho gia’ detto che non è necessario essere deterministi per dubitare dell’esistenza del libero arbitrio. Anche il caso va benissimo. Ma, allo stato attuale delle conoscenze, non c’e’ niente che possa dimostrare che quella che chiamiamo la nostra volonta’ sfugga al destino di tutto l’universo fisico, che e’ quello di dipendere dalla necessita’ o dal caso. Ma ecco che, poiche’ questo destino ci risulta insopportabile, protetti dall’ignoranza dei nostri processi mentali, abbiamo concepito l’idea di una terza alternativa: il libero arbitrio! Questo concetto, che ha dato indubbiamente all’uomo vantaggi evolutivi, e’ divenuto ormai parte essenziale della nostra psicologia e in ogni circostanza concreta della nostra vita ne’ tu, ne’ io ne’ altri possiamo rinunciarvi. E giudicando dalla mia esperienza (di piu’ non posso fare) non credo neppure che possiamo rinunciare – servendoci della negazione del libero arbitrio – al nostro senso di responsabilita’, se lo abbiamo.
PIETRO Potrei fare lo stesso discorso, ma dal punto di vista opposto: poiche’ ci appare terrificante e insopportabile essere gli unici artefici (ovviamente con tutti i limiti di cui ho parlato sopra) del nostro destino e della nostra vita, abbiamo inventato e costruito mondi nei quali la responsabilita’ e’ sempre di qualcun altro, degli dei o di Dio, del caso o delle leggi della fisica, dei neurotrasmettori o della societa’, del superiore o del colonnello, di chiunque, insomma, purche’ non nostra. Sinceramente, credo sia questo l’orientamento dominante della nostra societa’-cultura. Certo, spostare il problema all’indietro e’ possibile, ma quanto e’ utile o dimostrabile postulare sempre un livello precedente che determina quello seguente? Insomma: io non posso che vedere con i miei occhi, non posso parlare se non col mio linguaggio, non posso pensare se non con i pensieri, i miti, le immagini, gli archetipi della mia cultura. Ma ogni volta che vedo, parlo, penso io creo qualcosa e se ci provo posso far si che questo qualcosa sia un po’ diverso da come avrebbe potuto essere. Io non ho una preparazione filosofica e non conosco i termini della discussione filosofica intorno al libero arbitrio. Proprio per questo, forse, e’ un concetto che mi mette a disagio. Comunque, quando mi ritengo capace (io) di libero arbitrio, mi riferisco a questa capacita’ o possibilita’ o a questo tentativo di capire come agisco e di cambiarmi, sempre di piu’, sempre piu’ a fondo, anche sapendo che e’ impossibile una conoscenza assoluta (ab-soluta).
FERNANDO Convengo con te che una presa di coscienza effettiva di come si forma la nostra volonta’ (beato te, se ci riesci! I neuroscienziati sono appena in grado di balbettare qualcosa) e’ la condizione necessaria perche’ si possa ipotizzare il libero arbitrio. Necessaria, ma non sufficiente, perche’ il “marcatore somatico” funziona comunque, che lo sappiamo o no. Il tuo tentativo di cambiarti non dipende soltanto dalle tue conoscenze….
PIETRO Per quanto riguarda le scienza della cognizione, le neuroscienze, la psicologia. certo siamo ben lontani da avere spiegazioni o descrizioni esaurienti di ogni processo, ma e’ anche vero che conosciamo questi fenomeni in modo molto diverso rispetto a quanto accadeva anni fa. Vedremo. Riconosco anche la soggettivita’ del mio punto di vista. Ad esempio tu dicevi: “se per far funzionare meglio etica e senso di responsabilita’ dobbiamo dire e dirci che il libero arbitrio esiste, diciamolo pure (ma non e’ vero)”. Io invece penso che ritenere che non esista il libero arbitrio sia un modo che ci consente di non assumerci quelle responsabilita’ e trovi la sua giustificazione proprio in questo.