Le celebrazioni servono a poco se non vengono utilizzate per fare passi in avanti. E’ quello che è accaduto all’Ordine dei giornalisti, che ha organizzato in un’aula del Parlamento una cerimonia per ricordare i 50 anni della legge istitutiva. Un po’ di discorsi, qualche riflessione, ma nessuna azione concreta per uscire dalla condizione di debolezza in cui si trova l’organismo professionale dei giornalisti.
Enzo Iacopino, da tre anni presidente del Consiglio nazionale, dopo un commosso ricordo di Guido Gonella e la rivendicazione di una grossa parte del merito dell’approvazione della norma sull’equo compenso (per altro non ancora operativa) ha ammesso che occorre una spinta verso una vera riforma, ma nulla di più sui contenuti possibili.
Il sociologo Enrico Finzi ha illustrato l’ennesima indagine sulla condizione del giornalismo italiano e sulla sua consapevolezza dei problemi. Il 75 per cento teme la scomparsa di molte testate. Interessanti i dati sull’utilizzazione e la convinzione che dell’importanza di Internet: il 68 per cento si dice favorevole all’innovazione (sono stati intervistati 1681 iscritti) e la constatazione che la radio viene considerato il mezzo più rispettoso della deontologia professionale.
Al dibattito era presente l’intero Consiglio nazionale dell’Ordine. Tre gli interventi esterni. Il gesuita di Civiltà Cattolica Francesco Occhetta ha analizzato il tema etico. Caterina Malavenda, avvocato e studiosa del diritto giornalistico ha apprezzato il rispetto delle regole per la protezione dei minori; ha condannato il poco risalto che gli stessi giornali danno agli episodi di intimidazione e minacce (in sala c’era la cronista del Giorno Francesca Santolini, che racconta le indagini sulla malavita e che si è vista sparare addosso in una strada di Milano); ha giudicato male scritta e nebulosa la legge sulla privacy, che ha reso molto più difficile il lavoro dei cronisti.
Monica Maggioni, da poco nominata direttore di RaiNews, ha affermato che i giornalisti televisivi devono avere il coraggio di confrontarsi con il pubblico per capire il nostro grado di eticità. In tv c’è l’annosa questione della spettacolarizzazione: se la televisione si desse codici etici e standard superiori la situazione migliorerebbe”. E’ il mestiere stesso che va messo in discussione sul piano etico, ha detto la Maggioni.
Un’occasione mancata. Del resto è noto che lo stesso Ordine non è in grado di immaginare una riforma della legge realmente innovativa. Il progetto che pochi mesi fa è stato fermato (in sede legislativa) comportava pochi ritocchi al testo del ’63, ad esempio quelli indispensabili a far sì che funzioni un Consiglio nazionale che ha superato i 140 membri. Colpisce – forse si spiega con l’approssimarsi del rinnovo degli stessi Ordini, regionali e nazionale – che non si stato utilizzato l’anniversario per fare appello alle forze politiche. I nodi più importanti sono noti: rapporto professionisti-pubblicisti; formazione dei praticanti; legame con le università; applicazione delle norme sul procedimento disciplinare appena approvate dal Ministero della Giustizia. Ma tanti altri si potrebbero aggiungere: non rinnovabilità del mandato elettivo; divieto della iscrizione contemporanea in Ordini diversi; scarsa applicazione di alcune norme deontologiche (pubblicazione della rettifica).
Carne da mettere al fuoco ce ne sarebbe molta. E poiché tocca al Parlamento modificare la legge, quale migliore occasione del dibattito in corso per le elezioni politiche di fine febbraio? Perché non chiamare i partiti ad un impegno preciso? Perché non sollecitarli ad inserire la riforma nei loro programmi? Il giornalismo vive in una crisi perenne, di carattere strutturale e finanziario. Ma anche in una condizione di subalternità da cui proprio un Ordine moderno ed efficiente potrebbe risollevarla. Guido Gonella era questo che voleva. E una forte richiesta in questo senso sarebbe stata il modo migliore per onorarlo. (vr) |