Avevo sei o sette anni e il catechismo me lo facevano imparare a memoria. Prima le suore, poi un cappuccino assai rigoroso e severo. (Per queste ed altre esperienze giovanili si può cercare tra le pagine di “meditando Montaigne”). E ancora me lo ricordo il catechismo di Pio undecimo. “Chi è Dio? Dio è l’essere perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra. Dio può far tutto? Sì, Dio può far tutto ciò che vuole. Egli è onnipotente. Dio sa tutto? Sì, Dio sa tutto, anche i nostri pensieri, Egli è onnisciente…e così via”. Dalla fede alla morale,ai “novissimi” (morte, giudizio, inferno, paradiso), ai sacramenti, ai precetti della Chiesa, alle opere di misericordia, tutto rigidamente definito, enumerato, classificato. Una loro “quotazione” avevano la grazia e il peccato. Ricordo ancora la suggestiva (ahimè) illustrazione di un fanciullo conteso all’angelo custode dal diavolo e il ghigno soddisfatto di quest’ultimo che lo abbraccia dopo un peccato mortale. Ne ho trovata una vagamente rassomigliante su Google e la propongo qui sopra (prego notare le variazioni nella pettinatura, negli indumenti e nel colore del cuore).
Inutile dire che la casistica del male era infinita e andava attentamente vagliata ad ogni esame di coscienza. Classificato anche il bene: grazia attuale, grazia santificante. Virtù morali, cardinali (4), teologali (3). Che cosa rimane di questa anatomia morale nell’educazione cattolica dei giorni nostri? Poco, immagino e spero, ma non ne ho idea. Posso provare a chiedermi che cosa rimane in me di quella esperienza infantile e adolescenziale, con riferimento alle tre virtù teologali, che erano e restano le più importanti.
Fede. Dio solo sa se (Lui) esiste veramente. Io esisto e mi limito a credere. Che cosa? Quello che l’inevitabile ricerca di un equilibrio interiore mi induce a credere. In questo senso, mi pare, tutti possiamo dirci credenti. Di fronte al mistero, innegabile, dell’esistenza, la fede in Dio può essere una risposta valida come la mia. La fede del mistico, intendo. Miracoli a parte, il Vangelo può essere ancora inteso come “la buona novella”. Dogmi e speculazioni teologiche mi appaiono per lo più incompatibili con quanto suggerito dalla ragione.
Speranza. Non spero nell’ al di là. Anzi, volgendomi attorno, mi accorgo che diventa difficile anche sperare nell’al di qua. Pazienza. Finché resta la bellezza, la vita continua ad essere degna di essere vissuta.
Carità. Parola che ricorre in San Paolo ma non nel vangelo, che parla piuttosto di amore, ma potrebbe essere un problema di traduzioni. Amo il mio prossimo come me stesso? Non quanto vorrei. Amo i miei nemici? Non credo di averne. Ma se tutti seguissimo questo comandamento, questo soltanto, avremmo finalmente il paradiso in terra.