C’è un limite alla satira religiosa?

Oltre che sui giornali citati da Marnetto il dibattito su questo tema si è svolto sui social con toni ancora più accesi. All’odioso ripetersi di un terrorismo omicida di matrice islamista, condannato peraltro anche dalla gran parte dei musulmani, molti hanno sentito il bisogno di identificarsi con la ripubblicazione delle vignette grottesche su Maometto o il Corano. In nome della libertà di espressione, s’intende. Personalmente ho ritenuto di dover prendere le distanze da chiunque irrida la fede altrui in nome di un’altra “Verità” che non esiste o di un inesistente primato della cultura europea e occidentale. Intanto perché possiamo dirci tutti, anche quando non crediamo in un aldilà, “diversamente credenti”. Nel senso che la Verità non esiste e, come insegna anche la neuro scienza più aggiornata, tutte le nostre fedi e convinzioni, tutti i nostri ragionamenti e giudizi sono soltanto espressione di un compromesso tra il bisogno che abbiamo di conservare la struttura del nostro organismo individuale e il bisogno che ha l’organismo sociale a cui apparteniamo di conservare la propria. Ma soprattutto perché il multiculturalismo, con il rispetto per ogni convinzione religiosa che rispetti i diritti di ognuno, è condizione imprescindibile della pace tra i popoli e le nazioni (nandocan)

***di Massimo Marnetto, 11 novembre 2020 – Continua il dibattito pubblico sulla libertà di satira – collegato alle vignette di Charlie Hebdo e all’assassinio del professore francese Paty. Una mia lettera è stata ripresa e commentata da Daniele Luttazzi sul Fatto Quotidiano, mentre lo stesso tema riappare contemporaneamente nella rubrica di Corrado Augias. Segno di grande interesse, ma soprattutto della volontà di trovare una via d’uscita tra chi pensa che la satira non debba porsi limiti (Augias, Flores D’Arcais, Luttazzi, Natangelo e molti altri) e chi – come me e ben più noti commentatori (Rovelli, Spinelli, V. Zagrebelsky ed altri) – crede invece che la spiritualità umana sia degna di rispetto, anche da parte della satira.

Contestualizzo: il fatto in questione accade in Francia, dove la religione islamica è diffusa nella parte più emarginata dei suoi abitanti, immigrati residenti nelle periferie, persone per lo più miti, che svolgono lavori umili e trovano nella propria fede il conforto ad una vita dura. Insultare il loro profeta con la satira non è smontare l’arroganza di un potente, ma infierire contro i più deboli. E già questo mi pare un abuso di satira. Inoltre, Luttazzi dice “ma che la religione sia qualcosa da rispettare lo sostengono i credenti: finché non dimostrano che esiste l’essere invisibile a cui credono, non hanno alcun diritto di fare gli offesi se qualcun altro li percula”.  Non lo condivido.

Il rispetto va rivolto alla spiritualità della persona, a prescindere dalla (impossibile) prova scientifica dell’esistenza del suo dio. Se una comunità adora un sasso, non mi verrà mai in mente di prenderlo a calci perché non hanno prove che esista il “dio sasso”, ma perché per me ha rilevanza la loro devozione e pertanto – laicamente – la rispetto. E qui tocco il punto centrale del mio ragionamento: la laicità non è negazione di delle religioni, ma il loro rispetto, purché tutte siano conformi alla Legge, ossia non neghino i diritti inviolabili della persona.

Augias, infine, pone una questione dirimente: nel caso teorico di limiti alla satira, chi dovrebbe fissarli? La legge, consentendo l’illimitato diritto di satira nei confronti dei rappresentanti (clero in primis) di tutte le religioni, ma non di offesa diretta alle divinità. Tanto per essere chiari, il vignettista può arrivare fino a ritrarre il papa con un ombrello piantato nel sedere, ma non il Cristo nella stessa situazione.

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